Fauna
Nei depositi epigravettiani è stata recuperata una notevole quantità di resti faunistici. Per quanto riguarda i micromammiferi, solamente i tagli più profondi del deposito (tt. 15 e 10) hanno restituito un numero di reperti sufficiente da permettere qualche considerazione paleoecologica. Tra i Roditori il più comune è Microtus arvalis-agrestis, che aumenta costantemente dal basso del deposito verso l’alto, a spese di Pitymyis savii. E’ noto infatti che Pytymis vive in una vegetazione rada o discontinua mentre Microtus arvalis-agrestis ha come habitat la prateria continentale anche arborata. Tale sostituzione faunistica viene quindi interpretata come la conseguenza di un aumento della copertura vegetale. Arvicola terrestris è sempre presente, ma in diminuzione salendo verso la parte alta del deposito. Nel taglio 14 si denota l’interessante (per quanto sporadica) apparizione di Dolomys bogdanovi, specie diffusa nel Veneto durante il Pleistocene Medio e ricomparsa nel Wurm. Gli Insettivori, infine, sono scarsi: solo la Talpa europaea è presente in quasi tutta la serie.
I resti riferibili a macromammiferi fino ad oggi esaminati sono quasi 700.000. In genere sono caratterizzati da un elevato grado di frammentarietà, che si ripercuote sulla loro determinabilità; tale frammentazione è dovuta sia a fenomeni post-deposizionali, sia all’attività antropica, oltre che al probabile uso delle ossa come combustibile (oltre il 35% dei resti sono combusti).
L’inizio del Tardoglaciale (Dryas antico, 13.330±160 BP e 13.430±180 BP) è caratterizzato da un clima freddo e arido, che porta alla prevalenza di specie della prateria alpina, anche a basse quote. Stambecco e camoscio sono le specie dominanti di questo periodo, seguite da alce, uro e bisonte. Alcuni carnivori, come la volpe, il lupo, i mustelidi e l’orso sono sempre presenti, mentre la lince e il gatto selvatico sono rari. Vengono segnalati dieci resti post-craniali di leone provenienti dai tt. 5-6-13-16. Infine, si registra la presenza di lepre, marmotta e castoro.
Nel ciclo successivo (interstadio di Bølling/Allerød, 13.270±170 BP, 13.070±170 BP e 12.650±160 BP) si assiste ad un riscaldamento climatico, responsabile dello sviluppo di un ambiente forestale. Stambecchi e bovidi, specie dominanti nell’economia di caccia dell’inizio del Tardoglaciale, lasciano il posto al cervo, che prevale con valori anche superiori al 70%. In questa serie si può notare la presenza del cinghiale e la sopravvivenza del camoscio fino alla fine del Tardoglaciale.
Lo sfruttamento delle carcasse animali a fini alimentari è documentato lungo tutta la serie dalle frequenti tracce di macellazione, osservate sugli arti degli erbivori e, più raramente, sui resti di carnivori, spesso cacciati per le loro pellicce (lupo, ghiottone, leone, lince e martora).
L’età di morte degli ungulati mostra che la caccia era diretta in prevalenza verso individui giovani-adulti e adulti, indicando uno sfruttamento degli animali indirizzato ad avere il maggior apporto quantitativo e qualitativo di risorse.
Il ritrovamento di vertebre di pesce, ancora in corso di studio, documenta anche un’attività di pesca, svolta probabilmente lungo le sponde del torrente adiacente al riparo. E’ documentata anche l’uccellagione.
Immagine:
Metapodiale di cervide con raschiature
(foto: G. Giacobini, C. Cilli, G. Malerba)