Storie di figlie, mogli e compagne. Sembrava amore, ma era morte: crimini contro le donne
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Miti, la storia, la nostra storia
La figlia di Jefte offerta in olocausto (Giudici, 11), la concubina del levita di Efraim offerta dallo stesso concubino per uno stupro collettivo (Giudici, 19), il sacrificio di Efigenia, lo stupro di guerra delle Sabine, le spose bambine, le donne scambiate, le donne vendute, le donne usate, abusate, le donne uccise: 111 donne uccise nel 2019, l’88,3% è stata uccisa da una persona conosciuta…
La violenza sarebbe quindi il proprio dell’uomo e il destino della donna quello di essere vittima?
Tutto cambia eppure sembra rimanere uguale
La prospettiva storica della violenza contro le donne sembra suggerire uno sconfortante fatalismo. Eppure i rapporti tra i sessi, in questo ultimo secolo, hanno affrontato una vera e propria rivoluzione copernicana. Mai come in questi decenni il dominio maschile, sia in ambito pubblico che privato, è stato messo in discussione e drasticamente ridotto.
Ma perché, allora, la violenza prevalente nella coppia è, ancora oggi, una violenza contro le donne?
Ridefinire le domande, ampliare le prospettive
Cosa significa riconoscere e delegittimare la violenza?
Come sopravvivono le vittime e come soccombono?
Come si è strutturato il sistema dell’aiuto alle vittime?
Che cosa succede alle donne che chiedono aiuto e ai loro figli?
La figlia di Jefte, talvolta più tardi chiamata Seila o Iphis, è una figura della Bibbia ebraica, la cui storia è raccontata nei Giudici 11.
Il giudice Iefte aveva appena vinto una battaglia contro gli Ammoniti, e aveva giurato che avrebbe offerto la prima cosa che sarebbe uscita dalla sua casa come olocausto a Yahweh. Tuttavia, la sua unica figlia, una figlia senza nome, uscì per incontrarlo mentre ballava e suonava il tamburello (v. 34). Incoraggia Iefte a compiere il suo voto (v. 36) ma chiede due mesi per piangere la sua verginità (v. 38). Dopo questo periodo di tempo, Iefte adempie al suo voto e offre sua figlia.
Ci troviamo davanti a uno stupro collettivo e alla mutilazione della donna abusata.
Si tratta dell’ultimo episodio narrato dal libro dei Giudici (capitoli 19-21) in cui il protagonista è un levita di Efraim che si mette in viaggio per andare a riprendersi la concubina che è tornata alla casa paterna. L’uomo per riaverla con sé, decide di partire con l’intenzione di «parlare al suo cuore»: proprio come fece Sikem con la povera Dina, dopo lo stupro, quando si rese conto di amarla. Ma invece che con la donna, il levita si intrattiene con il suocero che, dopo averlo ospitato parecchi giorni, finalmente lo lascia partire insieme alla moglie. I due arrivano la sera tardi a Ghibea, città dei Beniaminiti, e vengono ospitati da un vecchio di Efraim. Improvvisamente i Beniaminiti bussano alla porta dicendo al vecchio di fargli uscire il levita «perché vogliono abusare di lui». Sarà lo stesso levita a spingere fuori la concubina che viene violentata per tutta la notte. Il mattino seguente il levita esce per riprendere il viaggio e trova la donna stesa con le mani sulla soglia della casa. «Alzati, andiamocene», le ordina, ma la donna non risponde, forse «perché era morta», come aggiunge il testo greco, a differenza di quello ebraico che la lascia supporre ancora viva. Viene caricata sull’asino e, una volta a casa, il levita impugna il coltello e taglia il suo corpo in 12 pezzi da mandare alle 12 tribù d’Israele. Sarà questo il pretesto per una guerra civile, per altri stupri e assassini.
”Il Signore radunerà tutte le genti contro Gerusalemme per la battaglia; la città sarà presa, le case saccheggiate, le donne violate…”[(Zaccaria, 14,2) ”I loro piccoli saranno sfracellati davanti ai loro occhi; saranno saccheggiate le loro case, disonorate le loro mogli.” Isaia 13, 16).